Riflessioni.
a cura del Coordinatore Generale, Domenico De Grandis.
Roma,12.02.2013
Queste non sono le solite elezioni che ogni quinquennio, o ad intervalli più brevi, hanno fin qui scandito la nostra esistenza repubblicana!
Questa vigilia elettorale è connotata da incertezze e da incognite, ma anche da disincanto e pessimismo.
Ampie porzioni della c.d. società civile, che è quella che si riconosce nella federazione che ho l’onore di rappresentare nell’ambito della Confsal.
Ormai è un luogo comune costatare l’incapacità della pubblica amministrazione a gestire efficacemente e correttamente la cosa pubblica, anche perché interessata da diffusa corruzione e occupata prepotentemente da questa politica.
Ad esempio, nel settore giustizia, all’incremento abnorme dei costi di accesso, non è seguita alcuna significativa accelerazione del processo civile mentre, per il processo penale è sufficiente ricordare che, a fronte della obbligatorietà costituzionale dell’azione penale, oltre centomila procedimenti l’anno si concludono con una pronuncia di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
La misura di investimenti per abitante nella ricerca, e quindi nello sviluppo, ci pone ai livelli più bassi tra i paesi occidentali.
La sanità e il sistema sociale patiscono i tagli lineari dettati dalle manovre correttive di finanza pubblica con inevitabile peggioramento della qualità dei servizi erogati.
I settori produttivi e del terziario attraversano una crisi di dominio pubblico: a Milano, ad esempio, il numero delle istanze di fallimento ha superato quelle di divorzio.
Presso lo Stato e gli altri enti pubblici, le assunzioni sono divenute l’eccezione alla regola generale delle esternalizzazioni e delle dismissioni.
Il tutto con inevitabile invecchiamento e impoverimento culturale e umano del ceto burocratico.
Benedetto Croce ha avuto modo di osservare che “E’ noto che non vi ha niente di più sciocco e noioso dei discorsi che si fanno, si son sempre fatti e sempre si faranno col censurare l’andamento delle pubbliche amministrazioni e notare negligenze, oziosità falsità, imbrogli, ruberie, viltà, per conchiudere che le cose vanno male, e anzi che il mondo peggiora e corre alla rovina. Il presupposto di queste censure, chiamate a ragione critiche facili, il presupposto da cui nasce la loro perpetuità, è la perfetta amministrazione, in cui ciascuno adempia con intelligenza perfetta e perfetta volontà il proprio dovere: cioè uno schema astratto che, come tale, non può trovare rispondenza nella realtà”.
Tuttavia lo stesso filosofo rilevava: “Dal che non si trae, dunque, la conseguenza del lasciar correre, che è quella di tutti gli inetti e i cinici...La conseguenza è invece il dovere di un atteggiamento, non certo impaziente, ma fermo e combattente”.
A questo punto è forte la tentazione di un voto di protesta, in qualunque forma espresso.
Ma questo è un lusso che non ci possiamo permettere perché la responsabilità del paese non può essere consegnata nelle mani di chi ha la sola abilità della contestazione.
Attività che, visti i tempi, non richiede particolari abilità.
Come è noto, è molto più difficile costruire, trovare la soluzione ai problemi: per questo occorrono persone di comprovata capacità e affidabilità.
D’altronde, come ha ricordato di recente il Presidente emerito Ciampi, “razionalità, responsabilità intelligenza sono merci rare… sono pochi coloro che ne sono provvisti e che ne fanno buon uso … anche perché ragionare è faticoso, implica di dire anche cose sgradevoli a chi ascolta, al contrario di chi urla, che si straccia le vesti e preferisce sollecitare sensazioni epidermiche e sguazzare nel malcontento.
Occorre, tuttavia, che sia intrapreso un percorso caratterizzato da una marcata discontinuità e ferma determinazione.
L’attenzione alla ripresa economica del paese, alla riqualificazione morale e funzionale delle sue istituzioni è un’occasione forse irripetibile, l’ultima prima che la grande onda dell’antipolitica possa travolgere tutto e tutti con esiti infausti che è agevole pronosticare.
E, in tale ambito, la questione lavoro ha un ruolo centrale.
Bisogna che la politica migliore prenda atto che quello che in tale ambito ha ormai bloccato il sistema paese non è il costo del lavoro che ormai è uno dei più bassi della Comunità, ma altro.
Il vero nodo centrale è il c.d. cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quello che il datore di lavoro o l’utente paga e quello che effettivamente il lavoratore subordinato o il lavoratore autonomo percepisce effettivamente.
Da una parte c’è l’imprenditore o l’utente che paga molto e dall’altra un dipendente o un lavoratore autonomo che percepisce una quota ormai minoritaria rispetto a quanto è costata la sua prestazione lavorativa.
Tra l’importo versato e quello percepito ci sono una serie di balzelli, variamente denominati, ma univocamente votati a finanziare una spesa corrente ormai insostenibile e condizioni di privilegio non più tollerabili.
A questo punto bisogna avere il coraggio, dopo aver effettuato tagli lineari ormai non più replicabili, di incidere sulla spesa ingiustificata del settore pubblico perseguendo obiettivi di razionalizzazione ma anche di equità.
Per quanto ci riguarda noi continueremo a portare avanti il nostro lavoro con responsabilità e umiltà, non per la magra retribuzione corrisposta, ma perché, in quanto dipendenti pubblici, siamo, ci sentiamo e siamo orgogliosi di essere al servizio della Nazione come recita l’art. 98 della Costituzione nella quale ci riconosciamo e della quale, immodestamente, ci sentiamo convinto presidio.
Il coordinatore Generale
Domenico Maria De Grandis