COMUNICATO SINDACALE
In data 2 agosto 2013, il Consiglio dei ministri ha licenziato il disegno di legge costituzionale di riforma delle province.
E’ stato così avviato il percorso previsto dall’art. 138 Cost di riforma costituzionale al fine di espungere le province dall’assetto costituzionale e, in particolare, dell’ art. 114 Cost. che, appunto, le prevede unitamente a comuni, citta metropolitane, regioni e stato.
Il testo del disegno di legge licenziato dal Governo corrisponde in buona sostanza a quello adottato in via preliminare il 5 luglio u.s..
Il percorso intrapreso, tuttavia, non sarà né semplice, né breve.
A prescindere dalle maggioranze richieste dall’art. 138 Cost., la doppia deliberazione da parte di ciascun ramo del Parlamento a distanza non inferiore a tre mesi l’una dall’altra fa prevedere per il varo della riforma un tempo di circa 18 mesi.
La tutt’altro che improbabile caduta del Governo e il quasi consequenziale scioglimento delle Camere non potrebbero che allungare i tempi previsti.
Le ambizioni della riforma, come noto, sono quelle di semplificazione burocratica e di contenimento della spesa pur salvaguardando sia le funzioni che il personale.
Ma nonostante le conclamate motivazioni molti dubitano della meritevolezza dell’iniziativa.
In primo luogo, è almeno opinabile che la riforma si traduca in occasione di contenimento della spesa pubblica: se ci sarà, sarà certamente inferiore ai 2 miliardi di euro stimati. Ma per comprendere meglio il senso e la misura dell’operazione, i nuovi aerei militari F35 richiederanno una spesa di circa 80 miliardi.
In secondo luogo, la garanzia di continuità occupazionale non impedirà la dispersione di quella cultura burocratica che han fin qui garantito alle province l’assolvimento delle loro funzioni: funzioni della cui utilità si è dubitato solo perché in molte occasioni il ceto politico non è stato capace di dare attuazione a quei principi di leale collaborazione istituzionale che garantissero coerenza e integrazione tra l’azione delle regioni a monte e quelle dei comuni a valle.
In altri termini, chi conosce del mondo delle autonomie non potrà negare che la scomparsa delle province è l’inevitabile conseguenza dell’eccesso di potere regionale e del particolarismo comunale.
Eppure, la provincia ha una dignità naturale come luogo di aggregazione delle persone e di dimensionamento dei problemi che non può essere annientato nella ricerca di economie tutte da verificare.
La realtà richiederà di affrontare questioni di rilevanza sovracomunale che i comuni troppo divisi non sapranno sintetizzare e che le regioni, troppo, lontane, non avranno la capacità di interpretare.
In buona sostanza, per fare economia, invece di tagliare nei noti luoghi dello spreco e della casta, il Governo ha deciso di prendersela con gli enti più deboli, ma che non sono certamente i meno utili.
Siamo di fronte, pertanto, ad un episodio di cannibalismo politico-istituzionale in cui la casta, a fronte del montare della protesta e dell’insoddisfazione dei cittadini, ha deciso di sacrificare i suoi componenti meno potenti, ma anche meno onerosi, sul tavolo dei tagli alla politica.
Ma, come detto, gli eventuali tagli saranno modesti e finiranno comunque per colpire i soli noti, ovvero i cittadini e gli utenti.
Non tutte le competenze provinciali potranno essere immediatamente ed efficacemente interpretate dai Comuni o delle Citta metropolitane soprattutto nel settore dell’avvio all’impiego.
A fronte dell’enorme offerta di lavoro che resta inevasa, la soppressione delle province è l’ennesimo paradosso di questa classe politica, l’ennesima prova di un’inadeguatezza culturale e civile.
Pertanto, nel rivolgere un invito al Parlamento a valutare con responsabilità e serietà il senso della proposta di legge governativa, ci stringiamo a fianco dei colleghi delle province nella battaglia a difesa del loro mondo lavorativo e culturale, delle loro competenze e della loro identità professionale.
Roma, 05.08.2013
E’ stato così avviato il percorso previsto dall’art. 138 Cost di riforma costituzionale al fine di espungere le province dall’assetto costituzionale e, in particolare, dell’ art. 114 Cost. che, appunto, le prevede unitamente a comuni, citta metropolitane, regioni e stato.
Il testo del disegno di legge licenziato dal Governo corrisponde in buona sostanza a quello adottato in via preliminare il 5 luglio u.s..
Il percorso intrapreso, tuttavia, non sarà né semplice, né breve.
A prescindere dalle maggioranze richieste dall’art. 138 Cost., la doppia deliberazione da parte di ciascun ramo del Parlamento a distanza non inferiore a tre mesi l’una dall’altra fa prevedere per il varo della riforma un tempo di circa 18 mesi.
La tutt’altro che improbabile caduta del Governo e il quasi consequenziale scioglimento delle Camere non potrebbero che allungare i tempi previsti.
Le ambizioni della riforma, come noto, sono quelle di semplificazione burocratica e di contenimento della spesa pur salvaguardando sia le funzioni che il personale.
Ma nonostante le conclamate motivazioni molti dubitano della meritevolezza dell’iniziativa.
In primo luogo, è almeno opinabile che la riforma si traduca in occasione di contenimento della spesa pubblica: se ci sarà, sarà certamente inferiore ai 2 miliardi di euro stimati. Ma per comprendere meglio il senso e la misura dell’operazione, i nuovi aerei militari F35 richiederanno una spesa di circa 80 miliardi.
In secondo luogo, la garanzia di continuità occupazionale non impedirà la dispersione di quella cultura burocratica che han fin qui garantito alle province l’assolvimento delle loro funzioni: funzioni della cui utilità si è dubitato solo perché in molte occasioni il ceto politico non è stato capace di dare attuazione a quei principi di leale collaborazione istituzionale che garantissero coerenza e integrazione tra l’azione delle regioni a monte e quelle dei comuni a valle.
In altri termini, chi conosce del mondo delle autonomie non potrà negare che la scomparsa delle province è l’inevitabile conseguenza dell’eccesso di potere regionale e del particolarismo comunale.
Eppure, la provincia ha una dignità naturale come luogo di aggregazione delle persone e di dimensionamento dei problemi che non può essere annientato nella ricerca di economie tutte da verificare.
La realtà richiederà di affrontare questioni di rilevanza sovracomunale che i comuni troppo divisi non sapranno sintetizzare e che le regioni, troppo, lontane, non avranno la capacità di interpretare.
In buona sostanza, per fare economia, invece di tagliare nei noti luoghi dello spreco e della casta, il Governo ha deciso di prendersela con gli enti più deboli, ma che non sono certamente i meno utili.
Siamo di fronte, pertanto, ad un episodio di cannibalismo politico-istituzionale in cui la casta, a fronte del montare della protesta e dell’insoddisfazione dei cittadini, ha deciso di sacrificare i suoi componenti meno potenti, ma anche meno onerosi, sul tavolo dei tagli alla politica.
Ma, come detto, gli eventuali tagli saranno modesti e finiranno comunque per colpire i soli noti, ovvero i cittadini e gli utenti.
Non tutte le competenze provinciali potranno essere immediatamente ed efficacemente interpretate dai Comuni o delle Citta metropolitane soprattutto nel settore dell’avvio all’impiego.
A fronte dell’enorme offerta di lavoro che resta inevasa, la soppressione delle province è l’ennesimo paradosso di questa classe politica, l’ennesima prova di un’inadeguatezza culturale e civile.
Pertanto, nel rivolgere un invito al Parlamento a valutare con responsabilità e serietà il senso della proposta di legge governativa, ci stringiamo a fianco dei colleghi delle province nella battaglia a difesa del loro mondo lavorativo e culturale, delle loro competenze e della loro identità professionale.
Roma, 05.08.2013
Il Coordinatore Generale
Domenico De Grandis