Il d.l. n. 95/2012, intitolato con non poca iattanza “disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, più comunemente come decreto sulla spending review, oggi sarà licenziato dal Senato e, dopo un ulteriore passaggio alla Camera, sarà convertito in legge prima di Ferragosto per entrare definitivamente a far parte dell’ordinamento italiano.
Il maxi emendamento introdotto in sede di conversione non ha innovato gli aspetti fondamentali del provvedimento e, pertanto, le preoccupazioni espresse in primo momento risultano confermate in toto e, per quello che più ci preme, possono essere così riassunte: per comuni e provincie, il numero dei dipendenti in esubero dovrebbe attestarsi intorno alle 13.000 unità.
Tenendo conto anche del personale delle regioni (che ci preme altrettanto), l’intero comparto patirà un esubero di circa 20.000 lavoratori. E per loro l’invarianza non ci sarà.
Come abbiamo avuto modo di evidenziare, la corresponsione del solo 80% della retribuzione fondamentale equivale a circa il 60% della retribuzione effettiva in godimento ad oggi poiché l’uscita dal servizio attivo impedisce la fruizione del salario accessorio.
Ai tagli si arriverà speditamente: il Ministero della Funzione Pubblica ha dichiarato “entro il 2015” riferendosi con tutta evidenza alle amministrazioni centrali.
Ma per gli enti locali, il procedimento sarà sicuramente più breve.
L’art. 16 del decreto, infatti, dispone che il confronto sindacale sugli esuberi non ecceda i trenta giorni, decorsi i quali, l’ente sarà libero di assumere le proprie determinazioni.
Ma noi siamo pronti.
Abbiamo predisposto un’unità di crisi presso la Segreteria Nazionale alla quale tutti i nostri dirigenti e gli iscritti potranno rivolgersi per ricevere assistenza sindacale e legale sia a livello centrale che periferico.
La Segreteria Nazionale, attraverso l’unità di crisi, curerà il coordinamento delle iniziative nazionali con quelle intraprese dalle articolazioni territoriali al fine di assicurarne la massima efficacia ed evitare che la individuazione delle risorse in esubero e ogni altra analoga manovra, ivi compresa la dismissione delle società in house, sia operata in danno dei livelli occupazionali se non nei limiti strettamente necessari e con criteri oggettivi, predeterminati e coerenti.
La nostra struttura legale, in particolare, offrirà tutto il sostegno tecnico necessario per garantire a tutti gli iscritti la più ampia tutela sia in sede stragiudiziale che giudiziale per evitare ogni abuso e uso strumentale della normativa sopravvenuta.
Non consentiremo che, attraverso un uso strumentale delle norme in esame, siano colpiti i dipendenti scomodi ovvero quelli c.d. diversamente orientati.
In tale evenienza non esiteremo ad assumere le iniziative più opportune, ivi compresa la denunzia degli abusi alla magistratura inquirente.
Parimenti non consentiremo che i risparmi ottenuti a spese dei lavoratori siano dirottati per finalità diverse da quelle volte al soddisfacimento delle competenze istituzionali “necessarie” di ciascun ente.
Spiace rilevare che, ancora una volta, un Governo asseritamente tecnico coltivi una tradizione che da circa trent’anni affratella indifferentemente governi di destra e di sinistra nel porre la quadratura dei conti pubblici a carico del pubblico impiego e, in termini ancor più marcati, di quello al servizio delle amministrazioni locali.
Comuni e Provincie, infatti, saranno chiamati sia ad effettuare la riduzione delle dotazioni organiche al pari della altre amministrazioni, ma anche a farsi carico dei tagli dei trasferimenti e a patirne le inevitabili conseguenze, comprese le dichiarazioni di dissesto finanziario che imporranno ulteriori rideterminazioni delle dotazioni organiche e ulteriori elementi di precarizzazione del proprio personale.
Tutto questo non è giusto e per più ragioni.
In primo luogo è di chiarissima evidenza che solo una parte del paese è chiamato a fare i sacrifici.
Per coloro che appartengono all’altra parte, lo stipendio o l’indennità in godimento, pur se corrisposti con denaro pubblico, è ancora ben superiore a quello di spettanza del Primo Presidente della Corte di Cassazione, circa 260 mila euro annui, nonostante questi fortunati, che pochi non sono, offrano in cambio conoscenze e abilità affatto paragonabili a quelle in possesso del supremo magistrato.
Cogliamo l’occasione per ricordare che Obama e Hollande guadagnino notevolmente di meno (circa 180.000 euro l’anno) eppure l’Italia non è più ricca e meglio governata degli Stati Uniti o della Francia.
Forse è il caso di ribadire che qualcuno ha smarrito il senso della misura e, cosa ancor più grave, non l’ha ritrovato nonostante i tempi che corrono.
Servire la Nazione ad alti vertici è un onore e un privilegio e anche un lavoro, ma non può essere un’occasione per arricchirsi.
Ma parlamentari e partiti, ovvero coloro che avrebbero dovuto provvedere sono i più impantanati nei loro “irrinunciabili” privilegi, pur se di dominio pubblico.
I parlamentari non sono stati “capaci” nemmeno di ridurre le loro indennità.
I partiti, nonostante le riduzioni, continuano a percepire indebitamente il doppio di quanto effettivamente spendono per le elezioni.
Eppure, proprio con sentenza pubblicata in questi giorni (sent. n. 199/2012), la Corte Costituzionale ci ricorda che il ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare attraverso i referendum è incostituzionale perché viola l’art. 75 della Carta Costituzionale. Volontà popolare che, con amplissima maggioranza, all’esito di apposito referendum, ha voluto l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Ma evidentemente chi siede in parlamento non se ne è accorto.
Ma la Costituzione, si sa, è da riformare, revisionare o, in altre occasioni anche da sbandierare, ma solo nella porzione allineata ai propri interessi e convenienze.
Presa per intero, la Costituzione è una legge troppo etica e rigorosa per la classe dirigente attuale orientata al perseguimento del tornaconto proprio e non della collettività.
In Italia, più che altrove l’irresponsabilità istituzionale e l’inconsistenza morale dei partiti ormai conclamata, li ha delegittimati più efficacemente di un colpo di stato.
Simon Weil già nel 1943 profetizzava, probabilmente pensando all’Italia di questi tempi, che ogni partito, pur se destinato a servire una determinata concezione del bene pubblico, assume rapidamente un carattere totalitario perchè rovescia il rapporto tra mezzi e fini e diventa una macchina che si mangia il senso della verità e della giustizia.
Le elezioni anticipate sono state quasi unanimemente rinviate: ma, al più tardi, nella primavera del 2013 tireremo i conti e in più di uno li rimanderemo a riprendere l’antico mestiere, sempre che nella vita abbiano fatto qualcosa di diverso e produttivo oltre la politica.
Tornando alla spending review, almeno questa volta, non si potrà dire che la colpa è dei sindacati che solo ieri sono stati convocati dal Ministro della funzione pubblica per discutere non si sa bene di cosa visto che, posta la fiducia, il decreto è stato posto in votazione così com’è, con la sola eccezione delle modifiche introdotte con maxiemendamento.
In nome degli obiettivi di finanza nazionale e comunitaria, la pubblica amministrazione e coloro che operano al suo interno si apprestano a subire l’ennesimo colpo mentre i partiti fanno accademia attorno alla modifica del sistema elettorale come se questo fosse il vero problema del paese.
In realtà il blocco delle assunzioni, l’abolizione dei controlli e del parere di legittimità del segretario comunale e provinciale, lo svilimento del ruolo di questo funzionario pubblico il cui destino è ormai nelle mani del sindaco o del presidente della provincia, lo svuotamento del ruolo e delle funzioni delle prefetture (che hanno dovuto rinunciare anche al loro nome), la privatizzazione del rapporto di lavoro “pubblico”, la soggezione della dirigenza degli enti locali ai direttori generali diretta espressione del potere politico sono il risultato del pensiero di questa classe politica o di quella immediatamente precedente di cui hanno raccolto l’eredità con l’evidente ambizione di riportarsi al modello organizzativo feudale fatto di vassalli, valvassori e valvassini.
Moralizzare la politica e ripristinare le giuste competenze e responsabilità nell’amministrazione della cosa pubblica era di un’opzione di semplicità insormontabile che nessuna forza politica ha mai nemmeno tentato.
Il Governo Monti non ha dato nessun effettivo segno di discontinuità in tal senso: solo tagli lineari e nessuna misura strutturale.
Anzi, l’indecorosa proroga dei rettori delle università contenuta proprio nel decreto sulla spending review è sintomo inequivocabile del rifiuto del cambiamento e della pervicace volontà di consolidare il potere accademico di baroni non di rado irrimediabilmente compromessi nell’immagine (ma non solo) dai molteplici casi di “parentopoli”.
Sotto questo aspetto, la dichiarata invarianza ci sarà: una proroga generalizzata di vecchi baroni consentirà di utilizzare le ultime poche risorse destinate alla ricerca per radicare ulteriormente un potere culturalmente (e anche anagraficamente) vecchio con buona pace per ogni istanza di democratico rinnovamento.
A Madrid gli indignados hanno commentato le analoghe manovre del governo spagnolo nei seguenti termini : << nos mean y dicen che llueve >> letteralmente o quasi << ci mingono addosso e dicono che piove >>.
Scusate la citazione la cui evidente volgarità è riscattata, spero almeno in parte, dalla capacità di rappresentare efficacemente l’attualità.
D’altronde non è tempo per formalizzarsi quando l’interlocutore impugna (e usa) la scure.
Ma sia chiaro: i tagli sono veramente gravosi e colpiscono retribuzioni il cui valore reale è fermo da oltre un decennio.
Ma quello che in realtà indigna sono i criteri.
L’alta consulenza a tal fine conferita al prof. Amato che, bontà sua, percepisce 35 mila euro mensili di pensione, è sintomatica dello stato delle cose e della capacità reattiva della nostra classe politica. Il senso effettivo dell’operazione può essere così riassunto: mettiamo uno di noi a regolare i tagli così siamo sicuri che non ci pregiudicherà. Ai più piccoli il concetto potrà essere spiegato raccontando la favola del topo posto a guardia del magazzino del formaggio.
Se è vera la teoria dei corsi e ricorsi storici, non vogliamo si rinnovasse l’infelice e nefasta affermazione della Regina di Francia Maria Antonietta che, altezzosamente assolutamente distaccata dai problemi del suo popolo, suggeriva di mangiare brioches a chi denunciava la mancanza di pane.
Sappiamo tutti come andò a finire….
Nel frattempo lo spread non diminuisce perché è chiaro a chiunque che una nazione non si può reggere solo sul pareggio di bilancio, ma innanzitutto su un assetto sociale equo e condiviso.
Questo infelice periodo prima o poi passerà e sarà certamente ricordato per aver espresso la classe dirigente più irresponsabile, improduttiva, insipiente e venale dell’intera storia del Paese.
Nel frattempo noi continueremo ostinatamente, come muli arruolati in un battaglione alpino, a portare avanti il nostro lavoro con responsabilità e umiltà, non per la magra retribuzione corrisposta, ma perché, in quanto dipendenti pubblici, ci sentiamo e siamo orgogliosi di essere al servizio della Nazione come recita l’art. 98 della Costituzione di cui, immodestamente, ci sentiamo effettivo presidio.
Il Coordinatore Nazionale
Domenico Maria De Grandis