L’accordo quadro tra parti sociali e Governo del 30 novembre 2016 ha posto le basi per il rinnovo dei CCNL dei comparti pubblici, atteso da più di otto anni, e ha sintetizzato gli obiettivi di entrambe le parti contrattuali:
1) incrementare i salari;
2) migliorare le relazioni sindacali;
3) migliorare la qualità dei servizi e la produttività del lavoro.
Tutti gli obiettivi presentano profili di difficile composizione anche in ragione della reciproca influenza che esercitano l’uno nei confronti dell’altro.
E’ utile ricordare che, pur se con due anni di ritardo, il rinnovo dei contratti collettivi consegue non già alla benevola disponibilità del Governo, ma alla nota sentenza della corte costituzionale n. 178 /2015.
In precedenza governi tanto tecnici che politici si sono ben guardati dal rinnovare i contratti collettivi del pubblico impiego.
E’ altrettanto facile dire, ma altrettanto vero, che la spendig review sia stata fatta a carico dei soliti noti, tra i quali i dipendenti delle regioni, dei comuni e degli altri enti del comparto mentre altre categorie hanno attraversato con il massimo agio i tempi di una crisi troppo lunga anche perché sostenuta da alcuni e non da tutti.
Tutto questo ha determinato almeno due inevitabili conseguenze: il sostanziale impoverimento del pubblico impiego e la delegittimazione sindacale.
Sull’impoverimento c’è poco da dire: è ormai un dato storico acquisito al quale, tuttavia, non siamo affatto rassegnati.
Sulla delegittimazione sindacale qualcosa va detto perché non si può ragionevolmente pretendere di praticare politiche volte al mantenimento di una pubblica amministrazione debole e povera per poi confidare nel senso di responsabilità del sindacato per “ricucire” le lacerazioni morali e sociali prodottesi nel tempo della crisi.
E non si venga a dire che in quasi dieci anni non ci fossero argomenti di coinvolgimento dei comparti del pubblico impiego su tematiche e progetti che consentissero di rendere effettivo e fattivo il confronto sindacale.
Su tale linea di opinabile coerenza si pone l’atto di indirizzo del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione all’ARAN che detta le linee guida e criteri direttivi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego scaduti ieri.
L’atto di indirizzo, infatti, si distingue più per assenza di contenuti e genericità di fini soprattutto per quanto attiene il comparto regioni – aa.ll..
E’ previsto il riordino dei fondi relativi al salario accessorio, ma difetta ogni utile indicazione sulle modalità secondo le quali dovrebbe avvenire.
L'atto di indirizzo prevede, invero, che il fondo in parola possa essere incrementato, ma nel limite di cui all'articolo 23, comma 2, d. lgs n. 75/2017, cioè in misura non eccedente le risorse a tal fine destinate nel 2016. Possiamo dedurre, pertanto, che anche il salario accessorio, al pari di quello fondamentale, sarà oggetto di arrotondamenti più che di incrementi .
Per quanto attiene la retribuzione delle posizioni organizzative, è prevista una valorizzazione di quelle relativa all’alta professionalità, con particolare riferimento agli incarichi di progettazione e la collocazione del relativo onere a carico non più del fondo, ma della spesa generica dell'ente.
Per quanto attiene, infine, le progressioni orizzontali, sono previste nuove procedure assertivamente volte a valorizzare i meccanismi introdotti dal c,.d. decreto Brunetta (dlgs 150/2009): attendiamo di esaminare la normativa specifica, ma c’è viva preoccupazione per una conduzione di tali procedimenti che risulti esente dai tutt'altro che insoliti condizionamenti clientelari.
La sintesi di quanto precede è che la stampa in questi giorni ha riportato che nulla è previsto dalla manovra per sostenere il rinnovo del ccnl del comparto degli enti locali.
Non è da sottovalutare, e non è di poco conto, il rischio che il ritocco al rialzo delle buste paga possa produrre il taglio del bonus degli 80 euro nelle fasce stipendiali tra i 25mila e i 27mila euro. Fascia stipendiale nella quale si collocano molti dipendenti del nostro comparto.
Difatti, l’idea di correggere al rialzo la busta paga per evitare il taglio del bonus per le fasce di reddito comprese tra 25mila–6mila e 26,001–27mila è stata scartata perché costosa, lasciando tale compito al contratto. Pertanto è di tutta evidenza che queste fasce rischiano di non godere di nessun aumento stipendiale dal rinnovo contrattuale.
Invece, pare che il primario interesse, come spesso riportato dalla stampa, sia quello di fare presto per partorire un contratto entro il mese di marzo, ovvero prima delle elezioni politiche e delle Rsu, nell'esclusivo interesse di politici e sindacati (ma non del nostro sindacato).
Sfugge come il Governo possa pretendere di rinnovare i contratti a meno del “minimo sindacale” a fronte della tanto sbandierata riforma della pubblica amministrazione.
E' da ritenere, visti i segni premonitori, che entro il mese di dicembre p.v. sarà presentata una bozza di intesa con poche risorse e i soliti articolati sulle sanzioni disciplinari che tanto rassicurano i nostri politici. Per il resto, tutto sarà rimandato al prossimo contratto.
Se questo sarà, non sarà consolante per noi essere stati la sibilla cumana della situazione.
Vi terremo informati.
Il Coordinatore Generale Diccap
Settore Autonomie Locali - Fenal
Domenico De Grandis