Nel nostro comunicato del 12.11.1012, documento che intitolammo “tanto rigore per nulla, ma per tutti noi”, sulla ricetta della crescita del Ministro Fornero, ci soffermammo sul problema del cuneo fiscale.
A distanza di circa un anno, il nostro solitario pensiero è diventato argomento all’ordine del giorno di molti, come dimostra oggi, domenica 22 settembre, l’ultimo articolo, in ordine di tempo degli articoli sul tema, pubblicato sul Sole 24 Ore.
Siamo felici, non perché siamo stati i primi a trattare l’argomento, ma perché non siamo più soli e, se ci è consentito, questo fatto dimostra che il nostro sindacato e sindacalismo autonomo non è al rimorchio di nessuno, ma vive di vita e pensieri propri e, soprattutto, liberi.
Vi invitiamo a rileggere il documento che vi riproponiamo in allegato ed è comunque presente all'interno dell'archivio notizie del sito del sito.
A tal proposito la nostra posizione sull’inutilità del prospettato abbattimento dell’irpef (comunicato il rigore e l’equità del 16.10.2012 sul sito www.fenal.it) è stata confermata anche dalla Corte dei Conti. Ma non era necessario scomodare la magistratura contabile, bastando solo un po’ di buon senso per rilevare tagliare l’irpef e aumentare l’iva avrebbe avuto come somma algebrica ZERO, almeno per contribuenti come noi (cosi come riportati dagli organi di stampa del 24.10.2012)
Non per menar gramo, ma se il Governo proseguirà su questa strada ci sentiremo dire presto una frase del tipo “l’intervento è perfettamente riuscito ma il paziente (ovvero il paese) è morto”.
Per certi versi è giusto che una parte del paese venga meno, ovviamente non in senso biologico ma solo politico, per il danno irrimediabile che ha prodotto e continua a predicare riproponendosi sfacciatamente nel convincimento che la nostra pazienza e rassegnazione gli consentirà di raschiare ulteriormente il fondo del barile e le nostre pover tasche.
Ma quella parte di paese che deve farsi da parte non siamo certamente noi.
Ma il nuovo che avanza non poi così migliore facendo pensare che abbia ragione chi distingue tra coloro che hanno fatto i danni e coloro che i danni li devono ancora fare.
Veniamo ai fatti.
La Ministra Fornero ci fa sapere che la ricetta per la crescita, bontà sua, sta nel depotenziare gli automatismi in busta paga, con rinuncia all’indicizzazione dei salari in via automatica: obiettivi da raggiungere mediante il potenziamento della contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale e con l’apprendistato.
A tal fine, fa saper il ministro, sono stati stanziati 1,6 miliardi che, rassicura, non saranno distribuiti a pioggia.
Se sarà vero, sarà la prima volta nella storia di questa Repubblica.
La cosa, pur non riguardando direttamente il settore del pubblico impiego, ci preoccupa comunque anche perché, prima o poi, una certa contaminazione normativa e politica ci sarà e la tentazione della deriva antisindacale finirà per interessare anche il nostro ambito.
La signora Fornero in buona sostanza ci vuole ancor più poveri e, inoltre frammentati a riconcorrere mille contratti aziendali dove potrà essere scritto di tutto e di più.
C’è da piangere, ma, purtroppo, non è solo una battuta.
Ma preoccupa ancor di più il fatto che il Governo e la Ministra Fornero facciano finta di non aver capito nel convincimento che noi non abbiamo capito.
In realtà lo sappiamo bene e da tempo che il problema dell’Italia non è il costo del lavoro che ormai è uno dei più bassi della Comunità, ma altro.
In primo luogo c’è ancora il famoso cuneo fiscale ovvero la differenza tra quello che il datore di lavoro paga e quello che effettivamente il lavoratore si mette in tasca.
Questo cuneo è ancora lì, enorme, e rappresenta il sistema attraverso il quale la politica e le amministrazioni pubbliche si finanziano.
Da un parte c’è l’imprenditore che paga e non poco; dall’altra c’è il dipendente che prende solo una parte che gli consente solo di sopravvivere e non far ripartire i consumi così che l’imprenditore sia invogliato a reinvestire.
In secondo luogo, le aziende italiane ed estere non investono nel nostro paese perché, come insegnano i recenti fatti di cronaca, la classe politica e dirigente, salvo rare eccezioni, disincentiva l’investimento con la concussione, la corruttela o, nella migliore delle ipotesi, attraverso un’inefficienza garantita da una normativa ogni giorno sempre più bizantina.
In terzo luogo c’è la mafia o ‘ndrangheta o camorra o come la volete chiamare.
Infine, non da ultima, c’è la (in) giustizia.
E per accelerare i processi si è ritenuto non già di potenziare gli organici e colpire chi ne abusa, ma di aumentare i costi dei processi a carico di chi chiede giustizia.
Questo paese ha necessità di più giustizia e non di meno giustizia.
Ci sono troppe sacche di malaffare, di abuso e di ingiustizia da combattere o più semplicemente da modificare.
Ma non si può essere limitare il ricorso alla giustizia a pochi facoltosi altrimenti, primo o poi, chi si sentirà leso e non tutelato tenterà di trovare la giustizia al di fuori delle polverose aule di tribunale mentre qualche distinto professore universitario, scandalizzato, evocherà l’imbarbarimento della vita civile.
Ma che si tratti di economia o di giustizia, il principio che guida l’azione anche di questo Geverno è sempre lo stesso: colpire il soggetto più debole.
E i colpi sono tali e tanti che ci allarmano con riguardo ai nostri redditi, dal valore reale sempre decrescente, e ci feriscono perché lesivi della dignità del vivere.
Tuttavia commettono un grave errore: quello di non comprendere che questa politica, questa economia, questa amministrazione, per noi, sono linfa vitale che ci responsabilizza e ci rende ogni giorno più forti nello scoprire che a fianco dei lavoratori, scusate l’immodestia, ma ci siamo rimasti solo noi.
Il Coordinatore Generale
Domenico De Grandis
Questo articolo è seguito da una nota giuridico-legale, consultabile nella sezione "Unità di crisi Atena", a cura dell’ufficio legale della Fenal. Clicca qui per raggiungere l'articolo
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