Ovvero, chi fruisce della sanatoria e chi la paga
L’art. 4 del DECRETO-LEGGE 6 marzo 2014, n. 16 (Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi), al primo comma ha disposto che le regioni e gli enti locali che non abbiano rispettato i vincoli finanziari della contrattazione collettiva integrativa siano obbligati a recuperare integralmente le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse.
Tale recupero dovrà essere effettuato a valere sulle risorse finanziarie destinate dalla contrattazione collettiva integrativa, distintamente per il personale dirigente e non dirigente, con quote annuali non eccedenti il numero di annualità in cui si è verificato il superamento di tali vincoli.
Nei predetti casi, le regioni sono tenute ad adottare obbligatoriamente misure di contenimento della spesa per il personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici che determini la contestuale riduzione delle dotazioni organiche non inferiore al 20 % della spesa per i dirigenti e del 10% per il personale non dirigenziale.
Analogamente gli enti locali sono tenuti ad adottare misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il secondo comma del medesimo art. 4, prevede un regime meno rigoroso per le regioni e gli enti locali che abbiano rispettato il patto di stabilità interno.
Per questi costoro, le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1, potranno essere recuperate anche utilizzando i risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa di cui al secondo e terzo periodo del comma 1 nonche’ di quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 16, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
La norma non convince e per più ragioni e le relative disposizioni dovranno essere attentamente valutate per evitare che l’applicazione delle stesse si risolva in un illegittimo pregiudizio a carico dei lavoratori del comparto.
Preme evidenziare che, contrariamente a quanto affermato nei commenti della prima ora, le disposizioni in esame non hanno affatto abrogato l’art. 3 bis, d. lgs. n. 165/2001 il quale, come noto, afferma la nullità delle disposizioni contrattuali adottate in violazione di norme imperative ovvero dei limiti fissati dalla contrattazione collettiva.
L’applicazione di tale disposizione, a norma del 3° c. dell’articolo 4, resta sospesa fino alla stipula del prossimo ccnl; ma tale sospensione si applica soltanto per gli enti che hanno rispettato il patto di stabilità.
Conseguentemente l’art. 3 bis, d. lgs. n. 165/2001 è ancora efficace laddove l’ente non abbia rispettato il patto di stabilità.
D’altronde la nullità delle disposizioni contrattuali che deroghino le disposizioni di legge e quelle dei ccnl è la sola ragione sottesa al recupero delle somme. In caso diverso non si comprende per quale ragione dovrebbe darsi corso ad un recupero laddove l’erogazione della spesa è avvenuta in termini non più illegittimi.
Per altro verso, la corresponsione di emolumenti in violazione di disposizioni di legge e/o di ccnl integra un’ ipotesi di nullità “naturale”, diretta espressione dei principi dettati in materia di organizzazione della p.a. dall’ art. 97 Cost.
Infine, per mero scrupolo di completezza giova ricordare che, a termini dell’art. 1, c. 3 , del d. lgs n. 165/2001, i principi affermati dal medesimo d.lgs., compreso quello di cui all’art. 2, c. 3 bis sopra richiamato, costituiscono “principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione… ”.
Pertanto il riassorbimento delle competenze corrisposte in violazione dei predetti atti, nulli per espressa previsione di legge, va intesa come “procedimentale” che introduce una sorta di compensazione stragiudiziale in luogo dell’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito disciplinata dagli artt. 2033 e segg.ti cod. civ..
Ne consegue che le pp.aa. del comparto dovranno dar corso ai procedimenti di compensazione previsti dall’art. 4 avuto riguardo alla natura dell’istituto e con la consapevolezza che non potranno porsi a carico della generalità dei lavoratori il recupero di emolumenti percepiti soltanto da alcuni di essi.
Anche il 2° comma del medesimo art. 4 suscita perplessità laddove prevede un regime di recupero più favorevole per gli enti che abbiano osservato il patto di stabilità.
Per tale via è stato introdotto un regime ingiustificatamente differenziato che invece di sanzionare i legali rappresentanti dell’ente che abbiano disatteso i vincoli del patto di stabilità finisce per pregiudicare, invece, per i dipendenti dell’ente stesso lasciando come se a questi ultimi debba essere imputato, e a a priori, lo sforamento del patto di stabilità.
Inoltre l’impostazione del provvedimento induce a ritenere che gli sforamenti del patto siano causati dall’incremento della spesa del personale. Circostanza questa che potrà essersi verificata in qualche caso, ma non nella generalità.
Ad una prima analisi, pertanto, le norme in esame presentano rilevanti criticità se non di compatibilità con i principi costituzionali.
Alla luce delle brevi considerazioni che precedono, sembra che i lavoratori, dopo aver subito il danno di un trattamento sperequato verso il basso in favore dei soliti amici degli amici, si vedono chiamati dalle nuove norme a contribuire alla restituzione di quanto indebitamente percepito dai colleghi più “fortunati” con una quota del loro già esiguo salario accessorio futuro.
Il Coordinatore Generale
Domenico De Grandis
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