La differenza del costo della vita tra nord e sud d’Italia è un dato che, pur se inesatto, sembra appartenere all’esperienza di molti e risulta finanche accertato anche da autorevoli istituzioni pubbliche quali l’Istat e la Banca d’Italia.
La pretesa differenza del costo della vita, potendosi risolvere in una differenza del valore reale delle retribuzioni, ha indotto taluni, sbrigativamente, ad auspicare la reintroduzione delle gabbie salariali.
La reazione delle forze politiche e sociali, invero, è stata pressoché unanime nel respingere la proposta anche se per ragioni eterogenee che spaziano dal richiamo tout court alle lotte dei lavoratori meridionali degli anni ’60 all’affermazione del principio della parità del valore del lavoro.
In realtà l’Italia di oggi è ben diversa da quella del finire degli anni ’60.
Basti solo pensare che, a quel tempo, non era ancora stata introdotta la L. 300/1970 più generalmente conosciuta come “lo Statuto dei Lavoratori”.
In altri termini, quello che oggi in sede legislativa e giudiziaria ed anche nella coscienza collettiva è, come si sul dire, ius receptum, alla vigilia degli anni ’70 era solo oggetto di proposte si sarebbero affermate solo successivamente e grazie all’impegno di alcuni valorosi.
Ed anche l’invocato principio della parità del costo del lavoro su tutto il territorio nazionale appare un’affermazione più retorica che provvista di valore sostanziale atteso che, laddove rispondesse al vero che il costo della vita fosse effettivamente inferiore in talune parti del paese, non si potrebbe negare la astratta possibilità di modulare conseguentemente le retribuzioni al fine di garantire la parità sostanziale, e non nominale, delle retribuzioni.
Tuttavia ho fondate ragioni per ritenere che al sud il costo della vita, intesa in termini doverosamente complessivi, non è inferiore a quella del nord.
Laddove si abbia l’accortezza di considerare beni e servizi di tipo fondamentale eppure non compresi nel “paniere” da coloro che si sono assunti l’arduo compito di misurare il costo della vita in particolare al sud si perviene a conclusioni diverse.
Se infatti è vero che le abitazioni e taluni alimenti o altri generi di largo consumo costano di più al nord che al sud, è parimenti vero che chi vive al sud deve confrontarsi con una pubblica amministrazione, con pubblici servizi pubblici e reti infrastrutturali di minore qualità rispetto al nord accollandosene i conseguenti costi.
Mi limito ad indicare, senza avere la pretesa di essere esaustivo, il mercato dell’acqua, la tutela dell’ambiente, la prevenzione dell’abusivismo, la delinquenza di tipo mafioso, il mercato del lavoro ancora inquinato dal caporalato.
Tutto ciò ha fatto sì che, alla tradizionale emigrazione dal sud giustificata dalla domanda di lavoro si è unita una diversa forma di emigrazione sempre da sud a nord, motivata da ragioni di ordine sanitario.
L’inadeguatezza o comunque l’inaffidabilità delle strutture sanitarie del sud inducono coloro che vi vivono a rivolgersi alle strutture pubbliche del centro e del nord.
E non si tratta di un fenomeno fondato su suggestioni: basti pensare, ad esempio, che la mortalità infantile al sud è quasi doppia di quella delle regioni del nord (Corsera del 19 settembre u.s.).
Pertanto, chi propone le gabbie salariali sul presupposto del minor costo della vita al sud è in errore perché invoca un presupposto in realtà inesistente
Purtroppo bisogna che ognuno prenda atto che la “questione meridionale” è ancora ben lungi dall’essere risolta, soprattutto con soluzione dell’ultima ora.
In conclusione, nell’auspicare per il futuro una certa prudenza su un tema così centrale per la vita di ognuno quale è il costo del lavoro, non posso che esprimere preoccupazione per l’apertura della prossima stagione contrattuale ove le parti sociali si ripromettono ad ogni piè sospinto di dare maggiore spazio al contrattazione decentrata e/o aziendale.
Non vorrei che, pur se in termini più articolati e con altro nome, le gabbie salariali trovassero ingresso nella contrattazione collettiva.
Certamente non ci si può schierare pregiudizialmente contro talune proposte volte a valorizzare la specificità del singolo contesto lavorativo ed introdurre meccanismi premiali della produttività, della flessibilità o di altro. Tuttavia tutto ciò potrà avvenire solo dopo che siano state assunte le misure necessarie a garantire il recupero del valore reale delle retribuzioni.
A tal fine, nei comparti del pubblico impiego ove opera la nostra sigla (regioni e enti locali) è opportuna la costituzione di un fondo perequativo dal quale attingere risorse in favore dei dipendenti di enti di minori dimensioni e/o dissestati o strutturalmente deficitari [ ubicati in congruo numero al sud ] al fine di garantire anche a costoro elementi premiali non troppo diseguali rispetto a quelli fruiti dal personale che presta servizio in enti di maggiori dimensioni o comunque provvisti di idonee risorse finanziarie.
Il Segretario Generale
Domenico Maria De Grandis