Netta caduta del potere d’acquisto di retribuzioni e pensioni
Ineludibile un intervento del Governo con la legge di stabilità 2013.
Si riporta, di seguito, il testo dell’editoriale del Segretario Generale Confederale Prof. Marco Paolo Nigi.
La questione della netta e persistente caduta della domanda interna causata prevalentemente dalla progressiva diminuzione del potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni non risulta presente, alla luce dei fatti e degli atti, nell’agenda “del fare” del governo Letta e nell’interesse del Parlamento. Eppure si tratta della questione prioritaria che riguarda la crescita economica e occupazionale, l’equità e la coesione sociale.
E’ evidente che il Governo “di servizio” al Paese non riesce a cogliere l’importanza sociale, economica e politica del fattore primario di crescita e di equità e incredibilmente si rifugia nell’inerzia e in un grave silenzio.
La Confsal, ponendo il lavoro e la crescita al primo posto nella scala delle priorità, ha proposto con forza e ripetutamente un intervento legislativo coordinato sul duplice fronte della defiscalizzazione e dell’adeguamento delle retribuzioni e delle pensioni.
Al contrario, il Governo, a centocinquanta giorni dall’insediamento e a pochi giorni dalla stesura della legge di stabilità 2013, non ha ancora assicurato una equa e coerente proposta orientata a sollevare le retribuzioni e le pensioni dall’attuale insostenibile peso fiscale, che sta diventando sempre più iniquo alla luce della gravità dell’ampio e diffuso fenomeno dell’evasione fiscale, nonché un’azione finalizzata all’adeguamento delle retribuzioni per via contrattuale e delle pensioni attraverso una giusta indicizzazione.
Nel 2013 la dinamica delle retribuzioni risulta modesta e disequilibrata fra settore privato e pubblico e all’interno degli stessi settori. A metà anno nel settore privato si è registrato un incremento tendenziale delle retribuzioni intorno al 2%, mentre nel settore pubblico le retribuzioni subiscono da due anni una variazione reale negativa per effetto del blocco dei rinnovi dei contratti, fermi al 31/12/2009 (legge 122/2010), e dell’andamento del tasso di inflazione.
Al momento, i contratti scaduti, in attesa di rinnovo, sono 51 e riguardano 7 milioni di lavoratori, di cui circa 3 milioni di pubblici dipendenti, per un monte retributivo del 54%. I contratti in vigore sono 23, per circa 6 milioni di lavoratori e per un monte retributivo del 46%. Pertanto, più di un lavoratore su due non ha il contratto di lavoro rinnovato nella parte economica e normativa.
I tempi di attesa per i lavoratori con contratti scaduti sono mediamente di due anni, nel settore privato di un anno e in quello pubblico, a normativa vigente, di cinque anni. Infatti, per il pubblico impiego il Consiglio dei Ministri l’8 agosto u.s. ha approvato il regolamento che proroga al 31 dicembre 2014 il blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali. La gravità del provvedimento governativo è evidenziata chiaramente dai dati ufficiali “certificati” e diramati dall’ARAN riguardo alle retribuzioni dei pubblici dipendenti, secondo i quali si è registrata una flessione biennale dell’1,3% - per il 2011 dell’0,7% e per il 2012 dello 0,6% -, particolarmente pesante in termini reali anche per effetto dell’inflazione il cui tasso è stato del 2,8% nel 2011 e del 3% nel 2012.
L’ISTAT e per il pubblico impiego anche l’ARAN hanno fornito un eloquente quadro della perdita reale del potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni che impone al Governo un’azione concreta per superare la grave situazione di iniquità retributiva e la conseguente caduta della domanda interna.
Il Governo, nell’ambito della compatibilità finanziaria e in relazione alla flessibilità di finanza pubblica consentita in Eurozona, deve creare in bilancio le condizioni di copertura finanziaria, affinché il datore di lavoro pubblico (Stato e Istituzioni pubbliche territoriali), esca da una insostenibile situazione contrattuale con i dipendenti pubblici, peraltro drasticamente ridotti nel numero con ripetuti e discutibili provvedimenti di tagli lineari, irrazionali e, a volte, illogici con la chiara finalità di “fare cassa”.
Il Governo, inoltre, non può rinviare ulteriormente, e comunque oltre la legge di stabilità 2013, la detassazione graduale delle retribuzioni e delle pensioni.
La Confsal aveva auspicato una soluzione complessiva e equilibrata per la rimodulazione dell’IMU, la cancellazione dell’aumento dell’aliquota ordinaria dell’IVA e la riduzione del prelievo fiscale su lavoro e pensioni, attraverso una illuminata e alta mediazione politica.
Ma, ad oggi, abbiamo dovuto registrare una soluzione IMU “pasticciata” e ancora da definire per la copertura finanziaria, il rinvio della problematica questione aperta dell’IVA e soprattutto il grave silenzio sulla riduzione del prelievo fiscale su retribuzioni e pensioni.
Il metodo governativo della separatezza e della distinzione degli interventi in materia fiscale non appare funzionale a trovare una soluzione equa ed equilibrata e prevedibilmente non agevolerà la stesura e l’iter di approvazione della legge di stabilità dell’ormai prossimo ottobre.
Anche l’approvazione in tempi brevi da parte del Parlamento della delega fiscale potrebbe risentire del pesante clima politico e parlamentare dovuto alla recente emanazione di discutibili provvedimenti governativi, come quello dell’IMU, e dell’inerzia governativa su altre questioni prioritarie, come quella del prelievo fiscale su lavoro e pensioni.
Il potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni deve tornare obbligatoriamente al centro del dibattito politico in Italia e in Eurozona se il governo e la governance europea vogliono ripristinare un livello di domanda interna e comunitaria funzionale alla crescita economica e occupazionale e realizzare un minimo di equità sociale.
Per la Confsal, il governo Letta può avere un senso se avrà la capacità e il coraggio di affermare concretamente il primato del lavoro e dell’equità fiscale con una mirata e coerente legge di stabilità e il Parlamento non può sottrarsi all’approvazione, in tempi brevi, di una “buona” legge delega per la riforma del fisco che sia anche funzionale ad un serio contrasto all’evasione, all’elusione e all’erosione fiscale.
Al di fuori di questa prospettiva la Confsal, in piena autonomia e responsabilità, in una prima fase metterà in atto dure azioni di protesta e di lotta e, in caso di esito negativo, sarà costretta a chiedere il ritorno al voto democratico, auspicabilmente con una nuova legge elettorale orientata a favorire una “vera” governabilità di cui il Paese ha urgente bisogno.