1) Se l’ente non rispristina idonee condizioni di lavoro, e’ tenuto al risarcimento del danno da aggravamento del mobbing gia’ accertato e risarcito
2) Per tutti coloro che svolgono mansioni superiori è bene considerare che il buon fine di un’eventuale azione resta subordinato al compiuto assolvimento del relativo onere della prova come da ultimo evidenziato dal tribunale di Frosinone
1) Se l’ente non rispristina idonee condizioni di lavoro, e’ tenuto al risarcimento del danno da aggravamento del mobbing gia’ accertato e risarcito.
Con sentenza del 13 marzo 2014, il Tribunale di Rieti ha accolto la domanda proposta da una dipendente comunale (assistito dall’Avv. Mario Rosati, legale della Nostra struttura), avente ad oggetto il risarcimento dei danni patiti a seguito di aggravamento delle lesioni già accertate giudizialmente per mobbing.
La sussistenza di tale contesto vessatorio, infatti, era già stato oggetto di precedente accertamento giudiziale da parte del Tribunale, confermato dalla Corte d’appello, e aveva determinato la condanna dell’ente comunale al risarcimento per aver omesso di tutelare, a termini dell’art. 2087 cod. civ., l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Difatti, nonostante il rigore della prova gravante sul lavoratore che afferma di essere oggetto di “mobbing”, il Tribunale, sulla base dei risultati della fase istruttoria, ha ritenuto che la ricorrente avesse pienamente provato la fondatezza delle proprie deduzioni sia in merito alla dequalificazione professionale e all’emarginazione lavorativa ulteriormente subite.
In ordine al quantum, il Tribunale, relativamente al danno non patrimoniale, ha ritenuto determinante la mortificazione professionale subita dalla ricorrente per un lungo periodo di tempo, considerata anche la mancata esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale stesso nel 2008 e che aveva indotto la Corte dei Conti ad accertare la responsabilità erariale del direttore generale e del dirigente responsabile.
La liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione all’integrità psico-fisica è stata effettuata, secondo l’ormai consolidato insegnamento della SC, mediante utilizzo delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano.
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2) Per tutti coloro che svolgono mansioni superiori è bene considerare che il buon fine di un’eventuale azione resta subordinato al compiuto assolvimento del relativo onere della prova come da ultimo evidenziato dal tribunale di Frosinone.
Nell’ipotesi in cui le mansioni attribuite a un dipendente pubblico vengano modificate, il Giudice deve avere riguardo al criterio della rispondenza di tali mansioni a quelle previste dalla categoria contrattuale di appartenenza.
Così ha deciso il Tribunale di Frosinone con sentenza n. 326/14 con la quale è stata respinta la richiesta di riconoscimento delle differenze retributive proposta da una dipendente ASL per avere di fatto svolto mansioni a scrivibili a categoria superiore (addirittura di natura dirigenziale) rispetto a quella di inquadramento.
Ciò alla luce della normativa speciale che regola la materia (art. 52 del D.lgs. n. 165/2001), la quale, nel prevedere che “ il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale previste dai contratti collettivi” attribuisce rilievo al criterio dell’equivalenza formale ossia della rispondenza dell’attività svolta con la previsione in tale senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita.
Pertanto, il Tribunale di Frosinone, nel verificare se l’attività esercitata rientrasse nelle competenze della ricorrente, ha ravvisato la piena corrispondenza tra le mansioni in concreto svolte e quelle previste, per la qualifica rivestita, dal CCNL di appartenenza.
Di conseguenza l’utilizzo di tale criterio oggettivo dell’equivalenza formale, previsto dalla normativa sopra richiamata, unitamente al mancato adempimento dell’onere probatorio da parte della ricorrente sia in merito alla fondatezza delle proprie deduzioni che alla quantificazione delle differenze retributive, ha determinato l’integrale rigetto della domanda.
D’altronde, ai sensi dell’art. 52, c. 3° e 5°, d. leg. n. 165/2001, il lavoratore pubblico (privatizzato) che abbia svolto mansioni superiori ha il solo diritto di vedersi riconoscere la differenza tra la retribuzione percepita e quella si spettanza in relazione alle mansioni svolte, ma è tenuto a farsi carico della prova della prevalenza “… sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni”.